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Quali effetti produce meditare? Se sei qui la questione ti incuriosisce, magari perché già pratichi meditazione da qualche tempo e vuoi capire cosa ti stia succedendo, oppure perché ne hai sentito parlare in giro ma la questione ancora non ti convince… in ogni caso sei arrivato qui e quindi la cosa, in qualche modo, ti interessa.
Proverò allora soddisfare le tue (legittime) curiosità, magari aiutandoti a scoprire qualcosa che forse non sapevi; iniziamo!
E cominciamo col dire che non parleremo dei “benefici” della meditazione. Si definisce un “beneficio” un effetto positivo di qualche genere e, parlando di meditazione, una delle prime lezioni da apprendere è quella relativa ai cosiddetti “pensieri giudicanti”. Un pensiero giudicante è un pensiero che valuta una questione e la classifica secondo una scala di valori di riferimento. In genere la valutazione è di tipo duale ovvero positivo o negativo, gradevole o sgradevole, bello o brutto e per lo più questi generi di pensiero non sembrano del tutto coscienti e consapevoli. Questi, infatti sembrano affacciarsi spontaneamente nella nostra mente e tra le prime cose da imparare c’è appunto quella di non rimanervi aggrappati. A questo scopo è fondamentale distaccarsi dalla tendenza alla valutazione dualistica di cui dicevamo.
Tratteniamo ciò che ci piace (un bel ricordo, una immagine gradevole) e respingiamo ciò che non ci piace (una situazione dolorosa ad esempio); in entrambi i casi la circostanza ci coinvolge e ci induce a dedicarle attenzione ed energia, tanto per stringerla a noi quanto per allontanarla. Per evitare tutto questo, e lasciare dunque che il pensiero scorra via, dobbiamo interrompere l’atteggiamento giudicante. Dobbiamo soltanto accettare che non tutto ciò che pensiamo sia necessariamente buono o cattivo, quanto piuttosto semplicemente che sia. Smettendo di dare attenzione (ed energia) a questi pensieri essi saranno liberi di andarsene, con ciò producendo i primi due effetti di cui ti voglio parlare.
Prima di tutto, scomparendo dalla tua vista il pensiero, scoprirai che la tua mente può restare in silenzio, magari per pochi istanti, senza assillarti con mille sollecitazioni e un continuo rimuginio. Questo “silenzio” è lo spazio in cui potrai far crescere la tua consapevolezza, scevra delle pressioni emotive e – quindi – libera ed espressiva del tuo vero “io”. Hai mai sentito dire chi medita dire che farlo lo aiuta a essere sé stesso? Quello cui si riferisce è proprio questo…
In secondo luogo, scoprirai che rincorrere tutti quei pensieri è letteralmente stancante, cioè una attività che potremmo definire energivora; smettendo di rincorrerli risparmierai una significativa quantità di energia da dedicare, consapevolmente, a qualcos’altro. Esistono vari tipi di meditazione – lo diremo a breve – ma in genere ogni pratica induce un profondo senso di energia interiore e spesso di rilassamento.
Compreso tutto questo, ci siamo convinti che sia meglio di parlare degli effetti, piuttosto che dei benefici, della meditazione, e quindi proseguiamo senza indugiare oltre.
Parlando della leggerezza riferita dai praticanti è bene chiarire come questa non sia una mera sensazione psicologica ma come abbia salde fondamenta fisiologiche. La sospensione, seppur temporanea, del nefasto influsso emotivo, riduce in un primo momento la produzione del cortisolo. Il cortisolo è un ormone con funzioni di neurotrasmettitore molto importante per la nostra sopravvivenza. Prodotto dal surrene è stato definito come “ormone dello stress” e così etichettato come negativo per la nostra salute. In realtà il cortisolo in sé è assolutamente necessario all’organismo per aiutarlo a superare quelle situazioni in cui serva, ad esempio, disporre di un supplemento di energia. E non c’è bisogno di pensare necessariamente all’uomo preistorico che doveva rischiare quotidianamente la propria vita per la semplice sopravvivenza…
Avete una scadenza professionale stringente e se il vostro ritmo lavorativo restasse nell’ordinarietà certamente non riuscireste a soddisfarla. Fate le ore piccole al computer, bevete caffè e riducete le ore di sonno. Il livello di cortisolo si alza e da indicazioni al vostro corpo per produrre maggiori quantitativi di glicemia da distribuire ai vostri organi interni per mezzo del sangue. Nonostante le molte ore di lavoro, e le poche di riposo, siete “carichi” e non avvertite la stanchezza proprio grazie al cortisolo. Quindi il cortisolo ci serve, solo che spesso ne produciamo più di quanto sia realmente necessario proprio perché avvertiamo una condizione di stress continuo. Il lavoro, il traffico, la famiglia, il conto in banca…tutto sembra talvolta coalizzarsi contro di voi e le giornate si trasformano in una escalation di tensione fino a sfociare in esplosioni irose magari per futili motivi; non siete psicopatici, è soltanto l’effetto del cortisolo che si va continuamente accumulando nel vostro organismo. Meditare, cioè raggiungere anche per brevi periodi, quello spazio di silenzio interiore, interrompe questo circolo vizioso, sospendendo o almeno rallentando la produzione di cortisolo. L’effetto è facilmente intuibile: vi ritroverete più calmi!
Ma andiamo avanti. Sospendendo la produzione del cosiddetto ormone dello stress darete la possibilità al vostro organismo di risentire degli effetti di altri neurotrasmettitori ad esso antagonisti. Funziona così: certi neurotrasmettitori possono essere immaginati come delle chiavi che, quando entrano in una toppa (cellule bersaglio dei singoli organi), la occupano e impongono un determinato movimento alla serratura (reazione fisiologica). La stessa toppa, cioè le stesse cellule ricettrici degli organi, possono ricevere una sola chiave alla volta. Quindi se questa è occupata dal cortisolo non può ricevere – per esempio – melatonina e serotonina.
Se il primo è stato definito l’ormone dello stress, queste possono essere indicate come gli ormoni della calma e della serenità. La melatonina risulta fondamentale per regolare – tra il resto – il ciclo veglia/sonno, consentendoci di “dormire bene”. La serotonina è invece responsabile di molteplici effetti sul nostro umore, stimola la memoria, la creatività e in molti la chiamano “ormone della felicità”.
Tornando alla nostra meditazione, quando mediti favorisci la liberazione di alcune delle toppe che in precedenza erano occupate dal cortisolo e lasci che possano essere occupate da melatonina e serotonina. Gli effetti? Una calma profonda, anche in situazioni di grandissimo stress, che – qualora la pratica meditativa sia costante nel tempo – non è più una fase estemporanea e provvisoria, ma diventa un vero e proprio tratto caratteriale.
E con questo veniamo a un altro effetto della meditazione, tirando in ballo la cosiddetta neuroplasticità celebrale. Cos’è? Con questa definizione ci si riferisce alla capacità del cervello di modificarsi nel tempo. In che senso modificarsi? Per molto tempo si pensava al cervello come a un fittissimo reticolo di neuroni lungo i quali correvano quegli impulsi elettrici e chimici che siamo abituati a chiamare pensieri, ricordi, emozioni. La rappresentazione che si aveva del cervello ha portato alla creazione dei microcircuiti e dei chip, la cui microscopica tessitura conduttiva determina i possibili percorsi degli impulsi elettrici che fanno funzionare i nostri pc, i telefoni o la lavatrice. Un’idea, questa, piuttosto meccanicistica e comunque di impronta fortemente analogica, che affliggeva anche il nostro modo di percepire il cervello.
Col tempo, tuttavia, si è scoperto che la flessibilità del nostro cervello (soprattutto della sua parte di evoluzione più recente) è molto maggiore di quanto si pensasse. Esperienze reiterate o particolarmente incisive sono capaci di alterare fisicamente il modo di funzionare del cervello; il bello è che compreso ciò ci scopriamo dotati di una facoltà prima sconosciuta. Siamo diventati consapevoli di essere più permeabili agli stimoli ma, al contempo, anche più capaci di determinare il modo in vogliamo che il nostro cervello lavori. La meditazione è uno degli strumenti più efficaci in questo senso.
La pratica costante nel tempo produce effetti fisici nel vostro cervello, abituandolo a routine e reazioni più confacenti alle vostre esigenze e, soprattutto, meno determinate da ciò che vi circonda e dal vostro lato emotivo, inconsapevole e incontrollato. È per questo motivo che chi medita con continuità acquista maggiori capacità di autocontrollo e calma: doti utilissime ma soprattutto nei momenti più difficili, in cui scelte determinate dall’ansia o dal nostro lato inconscio potrebbero rivelarsi assai funeste.
Si, ok, abbiamo capito, meditare produce parecchi risultati, ma come si fa esattamente e quanto tempo dobbiamo dedicare a questa pratica per sperimentare questi meravigliosi effetti (per carità non diciamo benefici sennò ti arrabbi)?
Allora, in termini di tempo da dedicare l’unico vero suggerimento utile è di lasciare che sia il vostro corpo a fornirvi le indicazioni necessarie. È possibile iniziare anche con una manciata di minuti (vedi qui un esempio di meditazione in 5’) per arrivare a molto, molto di più. Se la pratica viene fatta con costanza e senza sforzi si prolungherà da sola, perché sentirete sempre più il bisogno di ritrovarvi in quello spazio di silenzio e libertà.
Circa invece come si mediti occorre spendere qualche parola in più. Questo perché esistono molteplici tipologie di meditazione, risalenti a scuole di pensiero più o meno antiche, ciascuna delle quali si esprime in tecniche ed effetti differenti.
Una meditazione fortemente tradizionale è quella zen, di origine buddista, in cui l’attenzione viene focalizzata sul respiro e sulla staticità della posa. Poi c’è la classica meditazione vipassana, anch’essa di origine buddista, in cui l’attenzione va concentrata su un oggetto reale o immaginario. Non è possibile dimenticare la meditazione trascendentale
Trascendentale, zen, vipassana, mindfullness, visualizzazioni e altro ancora…le forme di meditazione possono essere ispirate tanto alla massima staticità quanto a un grande dinamismo.
A questo si aggiunga che alcune forme di meditazione possono risultare più adatte di altre per specifiche finalità. Ad esempio, chi pratica arti marziali potrebbe trovare maggiore utilità (o assonanza) con la meditazione di tipo zen, mentre chi fa nuoto, o apnea, troverebbe certamente utilità con la pratica vipassana. Allo stesso modo chi si senta lontano dalle atmosfere mistiche e orientaleggianti può efficacemente rivolgersi alla mindfullness, mentre chi sente di dover fare i conti con pesi emotivi irrisolti potrebbe praticare con successo forme di meditazione e visualizzazione hoponopono.
In tutti i casi, ciò che accomuna ogni forma di meditazione è la posizione – metaforicamente parlando – che assume il praticante nei confronti di sé stesso e di ciò che lo circonda. Per descrivere in poche parole cosa significhi meditare trovo comodo rifarsi alle parole di Juddu Krishnamurti, capace di coniugare la sensibilità propria dell’induismo con la praticità del mondo occidentale. Per Krishnamurti meditare vuol dire “semplicemente” dedicare ogni attenzione all’osservazione, di un oggetto come del proprio respiro o di una immagine mentale. Secondo l’illuminato filosofo indiano, il solo porci in una condizione di osservazione non giudicante (ricordiamo quello che si diceva proprio all’inizio in proposito?) è una circostanza di per sé stessa capace di “cambiare le cose” e “fare la differenza”.
Osservare senza partecipare, implica – comunque – incidere sulla realtà immanente. Allo stesso risultato giungeva anche la fisica grazie a scienziati dalla mente incredibilmente aperta come David Bohm (che amava dialogare con Krishnamurti) ed Erwin Rudolf Josef Alexander Schrödinger; è a quest’ultimo che, per lo più, si deve la teorizzazione del ruolo dell’osservatore nei confronti della materia.
Come nel suo celebre paradosso (il famoso “gatto di Schrödinger) l’osservatore – cioè noi – è in grado di determinare lo stato del povero felino che, fino al momento in cui non lo osserviamo, ha le stesse probabilità di essere sia vivo sia morto.
L’osservazione, quindi, definisce la realtà per come la percepiamo e la meditazione ci fornisce gli strumenti e le tecniche necessarie per riconoscerla tanto nella sua immanenza quanto nella sua trascendenza.
Allora, ancora convinti che meditare non offra dei benefici?