[clicka qui per leggere l’articolo precedente sullo stesso argomento]
Tre possibili impieghi concreti
Bene, abbiamo visto perché pietre e cristalli sembrano avere effetti su di noi [link primo articolo].
Abbiamo anche compreso che ciascun minerale produce i propri effetti in modo differente e che sta a noi impiegare lo strumento più adatto ad ogni situazione [link secondo articolo]. Sbagliando cristallo sarebbe infatti un po’ come cercare di usare delle pinzette di precisione per infilare un chiodo; potremmo anche farcela, ma i rischi di farsi del male sono decisamente troppo alti.
È dunque oramai chiaro come il ricorso alla cristallopratica non possa prescindere da due distinti elementi. Da un lato abbiamo l’approfondita conoscenza del mondo minerale, come sarebbe ovvio, ma dall’altro si trova la necessaria consapevolezza di se stessi. Ricorrere agli influssi di un minerale nel modo sbagliato, o semplicemente ponendolo nel posto sbagliato, può infatti – nella migliore delle ipotesi – privarlo delle sue stesse capacità e – nella peggiore – aggravare una situazione critica o favorirne il sorgere!
In questa occasione, proveremo allora a illustrare tre tra i possibili impieghi della cristallopratica. Per fare tutto ciò proveremo quindi a passare dalla teoria alla pratica e, a questo scopo, ricorrerò all’aiuto di tre casi concreti.
Partiamo dal metodo di impiego tra i più diffusi, ovvero come monile, sotto forma di bracciale, cavigliera, collana o semplicemente portato nelle tasche della giacca o del pantalone. È questo un impiego davvero antichissimo; per lo più i cristalli vengono usati alla stregua di talismani, anche se in realtà il loro utilizzo in questa forma è più simile a quella di un amuleto.
Talismano e amuleto, per quanto oggi siano termini impiegati quasi come sinonimi, non sono la stessa cosa. Ai primi (talismani, dal greco tèlesma e dal persiano tilism) si riconosce un potere “magico” tanto per portare fortuna a chi lo indossi quanto per allontanare la sfortuna o altri sgradevoli influssi. Per quanto possano essere sia naturali (pietre, cristalli, vegetali o animali) il più delle volte recano impressi segni o simboli che gli conferiscono o ne aumentano il potere. Diversamente gli amuleti (la cui etimologia è più incerta, forse derivante dal verbo latino amolior, ovvero tenere lontano, o dal greco amulon, un cibo talora impiegato nelle cerimonie funebri o che hanno a che fare con il mondo dei trapassati) sono qualcosa di molto più personale, per lo più da conservare senza che venga mostrato; in questo senso alcuni tatuaggi (o semplicemente tracciati sulla pelle), impiegati in certe aree del sud est asiatico e della Polinesia, ma anche dell’africa centrale e del continente australiano, attengono proprio al rapporto con entità superiori e assolvono a funzioni protettrici. I minerali, e in particolare i cristalli, sono in genere ottimi amuleti. Il loro uso è documentato praticamente in ogni cultura pre-scientifica. Basti pensare, ad esempio, che molte tradizioni sciamaniche non solo riconoscono ai cristalli specifici poteri ma, oltre a indossarli o impiegarli per aumentare l’efficacia di altri strumenti, ne inseriscono piccoli frammenti sotto pelle, così da interiorizzarne le proprietà in modo permanente…
Tornando al nostro esempio pratico, quando Anna (nome di fantasia ovviamente) decise di acquistare e indossare un bel bracciale di occhio di falco – pietra che aveva scelto a ragion veduta e dopo un adeguato approfondimento – si accorse che questo aveva su di lei effetti inattesi e, in realtà, poco piacevoli. Infatti, dopo una iniziale sensazione positiva, iniziò ad avvertire un fastidioso senso di stanchezza mentale, faticando a concentrarsi e avvertendo una spossatezza cui non riusciva ad attribuire una causa specifica. Ipotizzando che il recente acquisto potesse aver qualcosa a che fare con tutto questo riferiva a tal proposito: “Con il bracciale ho notato qualche differenza all’inizio, poi più marcata nella seconda settimana che lo mettevo e in cui mi ha aiutata a non focalizzarmi sul singolo problema ma avere una visione più di insieme e più concentrata. Fino ad arrivare alla fine della scorsa settimana, in cui mi sentivo emotivamente molto stanca e quasi ‘svuotata’, percepivo un senso di apatia che in genere non mi caratterizza“.
Analizzando insieme la situazione ci rendemmo conto che avrebbe potuto beneficiare più efficacemente degli effetti di questa bellissima pietra ricorrendo ad alcune metodiche. In primo luogo, è stato necessario stabilire dei limiti temporali al suo utilizzo; l’occhio di falco infatti, specie per persone molto recettive, può essere fin troppo energico e favorire indesiderati disequilibri. A ciò si è aggiunta anche una periodica pulizia e ricarica del bracciale, nel caso specifico per mezzo di una piccola drusa di ametista. Da quel momento S. riesce a sfruttare al meglio il suo bracciale, ne comprende meglio le proprietà e – per così dire – il carattere, lo rispetta e ne trae ogni beneficio possibile!
Ma la nostra relazione con i cristalli può essere anche più dinamica…
Qualche tempo fa ho avuto la fortuna di offrire il mio aiuto a Beatrice (nome indicato solo in rispetto dell’ordine…alfabetico!). Beatrice era già consapevole della propria particolare sensibilità agli influssi del mondo minerale di cui, tuttavia, beneficiava in modo un po’ passivo, traendo quindi meno effetti di quanto avrebbe potuto. Era molto affezionata a una pietra della sua personale collezione, su cui proiettava eccessiva energia, in tal modo precludendosi altre esperienze altrettanto positive. Dopo averne parlato abbiamo deciso che la soluzione migliore sarebbe stata che fosse il cristallo a scegliere lei, e non il contrario. Ecco cosa racconta a questo proposito:” All’inizio ho scelto di meditare con il cristallo fumè che avevo trovato XXXXX : l’ho scelto con la testa, come un predestinato. Dopo due tentativi durante i quali non riuscivo a condividere e la meditazione mi pareva sterile, mi sono affacciata sulla mia collezione di ialini e mi sono chiesta: come cavolo faccio a selezionarne uno fra tanti? In quel momento non ho avuto dubbi: ho saputo qual era. Devo raccontarti che da allora si è aperto un nuovo mondo: ci siamo studiati reciprocamente e io fissavo lo sguardo secondo il tuo consiglio. In verità duravo pochissimo, perché gli occhi mi bruciavano come se guardassi il sole. Allora li chiudevo e la meditazione aveva inizio. Sto imparando a conoscere il suo linguaggio, mi fido delle intuizioni e dei pensieri che mi guidano. Le sensazioni nel corpo ora sono una mappa”.
Questo aneddoto è ricco di spunti di riflessione ma, per il momento, due di essi appaiono essere i più rilevanti e cioè la scelta del cristallo fatta in modo intuitivo e non razionale e la specifica pratica consigliata. Partiamo da quest’ultima. Per Beatrice, in quel momento, era utile uno strumento che la supportasse nell’analisi interiore, di un faro che illuminasse quelle parti del suo corpo fisico ed energetico che avevano bisogno di essere illuminate. A questo scopo si può rivelare efficace una particolare tecnica di meditazione con i cristalli, ispirata per lo più dalla meditazione trascendentale di tradizione buddhista. si tratta di porre la pietra a poca distanza da dove ci troviamo; la distanza può variare a seconda delle sue dimensioni e… della nostra miopia! Dopo una necessaria fase di stabilizzazione grazie all’uso consapevole del respiro, il praticante viene invitato a focalizzare la sua attenzione sul cristallo, cercando di coglierne ogni sfumatura di colore, trama della superficie e forma. Sempre restando osservatori esterni al cristallo, senza quindi identificarsi con esso, quando il praticante sente di avere una mappa mentale della pietra sufficientemente dettagliata viene invitato a cogliere la sua natura intrinseca, la sua essenza interiore. Si tratta dunque di “guardare negli occhi” la pietra e di porsi in ascolto. È questo un ascolto silenzioso, non giudicante e distaccato. È possibile allora che l’attenzione del cristallo si concentri su alcuni aspetti del nostro corpo materiale e immateriale; l’attenzione del praticante sarà pertanto rivolta alle aree osservate dal cristallo, al fine di approfondire – con questo o altri strumenti – quelle bisognose della nostra attenzione consapevole. Il cristallo scelta da Beatrice, poi, un quarzo ialino, è particolarmente adatto alla introspezione finalizzata a far luce su noi stessi, come è infatti accaduto!
L’altro aspetto interessante che emerge da questo aneddoto, poi, è come sia avvenuta la scelta più efficace del cristallo in quel momento adatto. Infatti, dopo gli insuccessi della scelta razionale, B. si è lasciata guidare dal suo lato istintivo; quest’ultimo, meno sottoposto al controllo dell’ego (ma anche di quello culturale e delle credenze personali) è più sensibile alle sollecitazioni energetiche provenienti dal mondo animale, vegetale e, appunto, minerale. Se invece si fosse accanita nel ricorrere di un altro cristallo gli effetti non si sarebbero visti e, anzi, a lungo andare anche il rapporto positivo con quella pietra pur tanto amata si sarebbe potuto incrinare.
Ma ciò che a noi interessa, in questo specifico momento, è concentrare l‘ attenzione sulle potenzialità nascoste nel fantastico rapporto che i cristalli possono avere con la nostra parte meno razionale, intuitiva e istintiva. A questo fine mi servirò del caso di Carlo (ebbene si, anche questa volta il nome è inventato). Carlo attraversava una fase di disorientamento. Per quanto fosse un professionista di successo e avesse una appagante vita sentimentale, sperimentava una sensazione difficilmente spiegabile, ed ecco quanto diceva: ”Non so come spiegartelo ma mi sembra di vivere una storia già scritta. Non sono un tipo a cui dispiacciono le sorprese e le nuove avventure. Faccio immersioni e speleologia e sono molto attivo. Tuttavia sempre più spesso avverto la sensazione di recitare un ruolo. Mi piace come sono e quello che faccio ma spesso è come se mi mancasse qualcosa e seguissi una strada già prevista”. Si trattava probabilmente di qualche tipo di disarmonia a livello energetico e spirituale…
Nonostante Carlo amasse scendere in profondità, tanto in acqua quanto in grotta, non aveva mai avuto esperienze con la cristallopratica e, conseguentemente, non disponeva di minerali con cui sperimentare qualche esercizio specifico. Inoltre, in tempi di pandemia, anche ricorrere a pratiche olistiche era complesso e quindi abbiamo optato per una strada alternativa ma altrettanto efficace. Abbiamo visto infatti che i cristalli esplicano i propri effetti grazie alle loro caratteristiche fisiche intrinseche ma anche grazie a ciò che noi percepiamo di essi, al tatto e alla vista. Sfruttando questa facoltà C. è stato invitato a selezionare in modo del tutto intuitivo alcuni cristalli, preventivamente selezionati tra molti; la sua inesperienza con il mondo minerale è stata quindi un potentissimo alleato, consentendogli di scegliere i cristalli in modo assolutamente istintivo e irrazionale, associandoli ad alcuni punti specifici del proprio corpo. In altre parole il suo intuito gli ha consentito di esaltare la risonanza di certi minerali con alcune funzioni fisiologiche ed energetiche, così aiutandolo a identificare con maggiore precisione i possibili obiettivi su cui lavorare. Cioé ci si è avvalsi propria del rapporto energetico tra il nostro corpo e i cristalli per individuare le aree di intervento!
Dopo pochi giorni dall’uso di rimedi mirati Carlo ha dimostrato di essere non solo più concentrato ma soprattutto più consapevole delle piccole scelte quotidiane, senza stravolgere il proprio cammino ma ora percorrendolo in modo molto più sicuro e aperto al meraviglioso.
Insomma, questi aneddoti sono – spero – un efficace esempio di quanto i minerali possano diventare nostri amici, confidenti, complici e alleati, a condizione di essere consapevoli di noi stessi e del loro utilizzo!